C’è grande fermento in ogni settore che riguarda il mondo del vino che è in evoluzione e revisione costante e continua.
Spesso, in passato, mi sono lamentato di come nel mondo della comunicazione del vino non ci fosse assolutamente nè meritocrazia nè tanto meno preparazione, oggi la situazione è ben più grave!
Sempre più sommelier diplomati si aggiungono alla giungla social e sempre più enologi o cosiddetti wineconsultat si dedicano alla divulgazione del verbo con l’intento (forse) unico di accreditarsi al publico o di rendersi noti. I social network stanno distruggendo o forse l’hanno già fatto quello che resta della delicatissima comunicazione del vino.
Dove non arrivano i social network arriva la televisione grazie alle meravigliose inchieste dell’ormai inutile –Report– che sembra ormai avercela in modo personale e sgraziato col mondo del vino. (ma di Report e delle immense cazzate che ha detto solo negli ultimi mesi ne parleremo a parte in un articolo dedicato).
Il punto è che non si sta andando da nessuna parte e non si sta portando in nessuna dimensione più alta il buon nome del vino italiano.
La comunicazione del vino è ferma all’inizio degli anni duemila; dove dalle riviste classiche di settore si era iniziato a vedere i primi passi coraggiosi che iniziavano a parlare in modo autonomo ed autorevole di vino, di territori, di persone e cantine.
Ci sono ancora piccoli esempi come le varie riviste periodiche di AIS e ONAV che fanno del loro meglio per dare qualità o come la bellissima rivista ricca di articoli autorevoli di Civiltà del Bere di Alessandro Torcoli o ancora Cronache di Gusto dove lavorano ottimi giornalisti o Italia a tavola ed altri piccoli barlumi di speranza.
Pochi spiragli di luce purtroppo in un vasto mondo di ombre e buio.
Oggi sui social per esempio (Instagram su tutti) siamo ancora costretti a vedere un enologo di “fama” (di cui non farò per rispetto il nome) paragonare un’ Annamaria Clementi nota etichetta di spicco della Franciacorta targata Cà del Bosco e un Belle Epoque di Perrier-Jouet. Ingenuamente mi chiedo perchè?Che senso ha? Vuoi farmi vedere che ti sei potuto permettere 500€ di bottiglie? Vuoi far vedere ai tuoi follower che tu li bevi e che il loro affiancamento è un sorta di shakesperiano dilemma dell’essere o non essere?
Poi continui più sotto e vedi centinaia di commenti al post, like a non finire, insulti che non fanno mai male e quindi contenuti spazzatura diventare immediatamente virali.
Non dico che dobbiamo esser tutti Veronelli o dei moderni Robert Parker o James Suckling però non è assolutamente tollerabile la mediocrità che gravita attorno al vino e al suo parlarne.
Non può valere la regola tutta “sanremiana” parlarne male purchè se ne parli. Non può, nel 2024, contare più la tua faccia di quella del vino o della cantina di cui stai parlando. Sempre che tu rispetti il vino e ti reputi un suo amante e conoscitore.
Non accetto più ( e qui forse sarò etichettatto come sessista) che note wine expert piazzino i loro “davanzali” accanto alle bottiglie o parlino della loro vita privata, spesso volgarmente, nel medisimo post in cui stanno presentando o parlando di una data etichetta.
Allora le chiacchiere stanno a zero! Dobbiamo tornare a comunicare con leggerezza ma con fermezza. Parlare del vino italiano o in generale del vino per mostrare al mondo la sua verità, la sua bontà, i suoi difetti e le sue elaborate problematiche.
Lo dobbiamo fare tutti, dai giornalisti ai blogger ai wine lover perchè solo cosi la flebile speranza di vedere un giorno un comparto vino più veritiero può realizzarsi.
Ed ai blogger come me o ai cosiddetti wine influencer dico, provate a farvi fare i complimenti per quello che scrivete invece che per i milioni di follower che avete (magari pagati e finti); provate a far arrivare prima i contenuti di ciò che scrivete o dite prima del reggiseno che portate o dell’orologio di marca che indossate.
Mai come in questi giorni abbiamo un disperato bisogno di qualità, tanta tanta qualità che purtroppo oggi non vedo o vedo solo a singhiozzo!
Andrea Pilu