Sardegna: La Malvasia di Bosa dal “vangelo” secondo Me

Sardegna: La Malvasia di Bosa dal “vangelo” secondo Me

Sardegna: La Malvasia di Bosa non esiste più!

Facciamo un passo indietro, Bosa si trova sulla costa Nord Ovest della Sardegna. Passando per la sfavillante Alghero, ci si immerge in una delle strade più belle d’Italia. La litoranea, di circa quaranta chilometri, serpeggia tra il silenzio dove riecheggiano mare, macchia mediterranea, falchi e grifoni osservati a vista dai sempre più numerosi cinghiali.

Bosa centro storico

Arrivi a Bosa ed il cuore si apre in un baleno di colori, una culla coccolata dalla natura. Il borgo antico rievoca armonia ai piedi del castello Malaspina. Il fiume Temo disegna le traiettorie della storia che nei millenni ha attraversato questa città, osserva silenzioso e spesso minaccioso i talenti e gli errori delle persone che passano e vivono lungo le sue sponde.

Ho Bosa nel cuore da ormai trentatré anni! Son tanti o forse nemmeno abbastanza per tirare le somme del disordine enologico che si è sviluppato negli anni in questo paese che ho la pretesa di amare.

Un bene preziosissimo che da secoli è ben presente sulle tavole dei bosani è la Malvasia anzi la Malvasia di Bosa.

Malvasia di Bosa – annata 1987

Un vecchio censimento contava circa 247 gli ettari coltivati a Malvasia tra i piccoli paesi sparsi attorno a Bosa (Magomadas, Modolo, Tinnura, Tresnuraghes, Flussio). Negli anni gli impianti dei vigneti di Malvasia non sono mai stati rinnovati, mai ringiovaniti e men che meno lanciati verso una viticoltura di qualità legata al commercio. I pochi produttori, ai quali va il mio ringraziamento ed il mio plauso sono riusciti con enormi difficoltà a conservare con la loro, seppur piccola produzione, un vino che oggi forse è solo un’ombra della grandezza che avrebbe potuto raggiungere.

Ma la Malvasia di Bosa cos’è? Che vino si produce da quest’uva rara, dorata e preziosa? Una ed una sola è la risposta. L’unica tipologia che avrebbe spazio nell’enografia mondiale è quella antica, prodotta da uve molto mature raccolte al finire dell’estate, fermentata per la quasi totalità del comparto zuccherino ed elevata per almeno due anni in legno di castagno (per i più moderni i legni talvolta possono variare).

Tutte le versioni che i produttori più furbi con abili mosse sono riusciti ad integrare nella D.O.C. negli ultimi decenni sono inutili e disastrosi tentativi di distruggere un’identità che resiliente resisteva da centinaia di anni.

Grappolo di Malvasia di Bosa in maturazione

Resiliente ho detto, la resilienza in psicologia è la capacità di reagire di fronte a traumi e difficoltà. Le uniche tracce che possiamo seguire oggi per trovare una buona Malvasia di Bosa sono quelle di quei produttori che nonostante tutto, in silenzio, forse troppo, hanno costudito l’identità di un paese, vino quest’ultimo che scorre silenzioso come il fiume Temo, solo in poche cantine.

Anni fa era sorta una cantina sociale, a Flussio, che produceva uno spumante Demisec a base Malvasia metodo Martinotti (Charmat). Fu vano il tentativo di unire lo sforzo di tanti piccoli produttori sotto il nome di un prodotto che pareva funzionare. Quello che dall’esterno appariva era che nonostante tutto la Malvasia storica, quella secca, che quasi assomiglia ad un brandy, potesse avere la sua spalla economica. Lo spumante poteva esistere come anticamera di quello che però era il vino autentico, invecchiato ed affinato in modi sapienti e caparbi.

Niente, la cantina sociale è fallita malamente sotto il peso dei soliti furbetti, della politica territoriale inesistente e dell’inedia di conferitori troppo gelosi e narcisisti per accorgersi che insieme sarebbero potuti arrivare lontanissimo. E la vecchia, cara, profumata Malvasia di Bosa lentamente si è vista sostituita da versioni dolciastre dai pochi gradi alcolici, spumanti con poca identità territoriale ma soprattutto da vini, pochi, che da soli non saranno mai in grado di avvalersi della facoltà di rappresentare un territorio così importante e variegato.

Malvasia di Bosa annata 1987

Ad oggi i vigneti a Malvasia di Bosa sono sempre meno, quei pochi, bellissimi nelle sfumature dell’oro, del giallo e del bronzo, sono di quei pochi contadini che ancora ci provano, ancora non hanno mollato, ancora non sentono la voce del futuro che sembra non dargli ragione.

Allora la Malvasia di Bosa è davvero in via d’estinzione? Davvero l’unico futuro per questo vino strepitoso è la produzione casalinga di quei pochi fortunati e caparbi proprietari che da generazioni la producono in piccolissime quantità?

Io, una risposta, come si legge nel titolo nettamente catastrofico, me la sono fatta. Ci sono pochi produttori che nonostante tutto riescono e ce la fanno ma non basta, li invito a fare gruppo, a creare una vera strada della Malvasia di Bosa, ma non sui cartelloni nel corso del paese di Bosa bensì reale che porti la gente in visita alle cantine, creando dietro al vino un’immagine identitaria per un territorio, un movimento turistico enogastronomico.

Chi lo sa magari grazie alla tenacia e alla potenza delle idee di pochi potrà davvero un giorno succedere che vigneti di Malvasia di Bosa verranno reinnestati la dove la macchia mediterranea divora ormai tutto, la dove foraggio e campi sterminati fanno da padrone ad una natura brulla e desertica.

Io voglio credere che sia possibile, voglio credere che la fiducia nella natura che esplode cosi generosa in questa vallata non vada sprecata in narcisismi futili e infinte gare per cercare di superare il proprio vicino di casa. Confronto e non scontro!

Si punti ad una vera e concreta valorizzazione di un vino che può davvero diventare un punto di riferimento dell’enologia italiana e mondiale, spalleggiando con vini noti come la Malvasia delle Lipari, il Moscato di Trani, il Passito di Pantelleria, il Moscato di Scanzo, il Piccolit, il Vinsanto, il Sautern e tanti altri vini di elevata eccellenza.

Pilu Andrea

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2 commenti

Crediamo di far parte di una sparuta pattuglia di resistenti-resilienti che ancora producono e vendono quella malvasia descrita, cioè la versione ossidativa di vendemmia tardiva affinata in castagno scolmo per almeno 3 anni… in una parola la malvasia di Bosa. Il nuovo disciplinare non tutela ciò ma non importa, conta il voler e saper fare…lo si deve al luogo in cui siamo nati. E il mercato? Risponde, come da sempre.

Il voler e saper fare sicuramente premia la vostra Cantina e questo non può che renderci fieri di voi. Il punto però è che il concetto di far squadra potrebbe portare sia la Malvasia che la città di Bosa in ben altri lidi, molto più prestigiosi. Il mercato, per finire, premia ma se fuori dalla Sardegna in pochi conoscono la Malvasia di Bosa questo è un peccato mortale a cui bisognerebbe porre rimedio tutti insieme.

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